Franceschi, Giacinto, 1617
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Molto Reverendo Padre Nostro
La brama grande, che sempre ho havuto, et al presente, piu che mai sento dentro di me d’andare all’Indie m’ha spinto, a scrivere questi quattro versi a Sua Paternità; massime quando l’occasione e opportuna d’andare al Giappone, alla quale con ogni affetto aspiro. fui sempre desideroso, ancor da piccola età, di spendere la vita mia, in salute dell’ animę, et di spargere ancora il sangue per quello, il quale inspargendo per esse fu tanto prodigo del’suo; laonde quando rimiravo l’imagine de martiri; mi sentivo subito rintenerire, et infiammare di amore verso simil’sorte; et dicevo fra me stesso ò se ‘l Dio il quale a questi tanta gratia concesse, a me ancora concedessi ogni cosa potrej; et allora mi veniva in mente tutti i Commodi, [Gaiezze], et facoltà Paterne, et dicevo come adesso dico di novo; vadino via i Parenti, gl’honori, le pompe pur che ancor’io sia fatto una volta degno di patire per il mio Giesu. questa fu la cagione principale la quale m’inspirò la vocatione alla Compagnia, et per quest’istessa i Dio Signore Nostro in essa mi conserva; imperoche maj mi sento consolato tanto, di quanta consolatione mi trovo ripieno quando m’sj offerisce occasione di far qual cosa in aiuto dell’anime; et ogni volta che cio ho domandato (alche spesso l’ho fatto massime al Padre Ottaviano Navarola essendo Novitio, et al Padre Provinciale stando in Collegio) ho sentito dentro di me tanta consolatione, che abondando ancora nel esteriore pareva che m’havessi adisfare d’allegrezza spirituale, et benche io non ottenevo quello che domandavo non mi dava però pena anzi m’aiutava a crescer piu nello spirito, affine, che se fosse volonta di Dio una volta l’ottenessi. nell’oratione maj sentivo tanta consolatione, quanta ne sentivo allora, allora mi trovavo piu pronto all’ubidienza, et agl’essercitij della Santa Religione, et per dire di tutto in una parola piu profitto m’e parso sempre d’haver fatto nello spirito quando tale desiderio ho scoperto al Superiore. conobbi sempre ancora essermi communicata
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dal Signor I Dio per le doti che dall' istesso I Dio ho ricevuto atte per tal’vocatione cio è sanita tale che maggiore non mi pare di potere desiderare; poiche maj hebbi male in Religione se non otto giorni di rosolia. la scarsezza del vitto, et il digiuno non mi nuoce anzi mi giova digiunando con la gratia del Signore la quaresima, et finalmente dalle fatice corporali, et mentalj maj ho sentito nocumento alla sanità. faro fine al mio scrivere parendomi del tutto impossibile di potere inscritto monstrar la brama, che Christo Signor Nostro a me indegnamente comunica, il che potrebbe essere a me di pena, e di tormento parendomi da una parte dì non sodisfare a pienoa alla vocatione dalla parte mia, benche da unal'altrá parte mi consola d'haverla comunicata con Sua Paternità la cui Cura insperimentò ogni giorno quanto sia grande verso di me indegnissimo figliolo. la quale procura ogni mezzo per la salute mia. nelle mani dunque di Sua Paternita tutto mi rimetto, et ad ogni cenno di Lei son pronto ad ubidire, et se cio esperimentar volessi con mortificatione, et penitenze publiche et esterne, son pronto a receverle
Di Sua Paternità molto Reverenda
figliolo in Christo Humilissimo
Giacinto Franceschi
(a) a pieno nell’interrigo
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1617// collegio Romano // fratello Giacinto Franceschi // Indie