Aureo, Beniamino Maria (1829-1854), Sicilian Province, 1849

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Reverendissimo Padre.

Finalmente mi è concesso esprimere a Vostra Paternità Reverendissima il desiderio che il Signore mi da di consacrarmi a Lui nel sacro ministero delle apostoliche Missioni, e di rendermene meritevole mediante lo studio accurato della perfezione nelle virtù e nelle lettere.

Io quantunque sia uno de' Gesuiti dispersi, e balzati nuovamente nel secolo cui avevamo rinunziato, pure mi protesto esser vero figlio, benchè indegno, di quella tenerissima Madre che mi nudrì con tanti stenti, e mi educò sì che io potessi concepire affetto verso Lei anco nel dì della sventura, mentre è da tutti odiata a morte, e il dichiararsene figlio è lo stesso che portare in fronte il marchio d'infamia; ma congiuri contro di me il mondo tutto, io andrò incontro a qualunque rischio, purchè sia fedele a Dio e alla Compagnia, e siccome figlio sincero di tal Madre tutto voglio svelare il mio petto a Colui che interprete de' divini voleri, mi guiderà nel retto sentiero della salute.

E primieramente sappia Vostra Paternità Reverendissima che il Signore sin da fanciullo mi facea conoscere la vanità del secolo e il bene della vita monastica, e sin d'allora concepî tale orrore alle cose secolaresche che mi ritirai in Villa dove dimorava la vecchierella mia Nonna, e menai quivi vita solitaria sino all'età di anni duodeci. I parenti però non volendomi lasciare incolto, e secregato dalla società mi fecero tornare in Patria dove cominciai i miei studî nella Scuola [Lancastrianà], e grazie al Signore in un anno imparai a leggere scrivere e aritmetica: quindi l'anno 1841. per potere studiare nelle scuole gesuitiche appresi da un Maestro particolare i primi rudimenti grammaticali e al 42. fui ammesso nel nostro Liceo.

Io studiava coll'idea di rendermi religioso, ma non avea determinato ancora di qual Ordine, quando ritrovandomi un giorno a passeggio con alcuni de' nostri che mi erano amici, intesi da loro che io poteva essere Gesuita sol che mi avessi quattro dita di fronte, per lo resto penserebbero essi: io che avea un alta stima della Compagnia, e bramava esserne membro, posi subito la mano in fronte e trovatala capace determinai sin d'allora di fare ogni sforzo per ricevere grazia si segnalata; ne parlai infatti col Reverendo Padre Provinciale, che molto mi stimava, e mi promise che compiti gli anni 15. mi accetterebbe per figlio della Compagnia. Io da quindi innanzi sospirava quel momento beato in cui dovea abbracciare i nostri angioletti Novizî, e grazie alla Vergine Santissima non mi fù troppo differito quel bramato giorno, chè a' 17. Novembre del 44. fui ammesso a convivere fra i Gesuiti..

Or le sembrerà nuovo che io colmato di tante grazie mi sia mostrato sempre ingrato verso il Signore, che a costo della mia sconoscenza mi ha sospinto sempre a desiderar cose maggiori, sì che io non credeva a me stesso quando dalla vita secolare dovea passare alla Gesuitica. né meno mi riusciva meraviglioso quando il Signore, da gesuita mi veniva continuamente inspirando di desiderare la vita de' Missionarî; ma grazie a Colui che mi chiamò a suo Compagno sperimentai si dolce e soave la vita Gesuitica che non contento di que' patimenti e di quelle privazioni per amor di Gesù Cristo, io desiderava somigliare in tutto il nostro Esemplare e privarmi anco di quelle agiatezza che permette la decenza e la civiltà: però per appagar le mie brame e privarmi d'ogni umana consolazione per consacrarmi tutto al Signore cominciai a bramare le missioni tra i selvaggî dove coll'impiegarsi nella santificazione del Prossimo si ottiene indirettamente la propria.

Oh! caro Padre se potesse immagginarsi Vostra Paternità Reverendissima quelle notti scorse in compagnia de' miei buoni selvaggi, in parlar con loro e istruirli ne' misteri della fede, andare in cerca con loro delle radici e di altri cibi silvestri che appresta la natura per diffamarci! spesse volte mi sembrava trovarmi in una di quelle selve, morto alla carne e al mondo, e in atto di spirare abbandonato da tutti, ma col Crocifisso stretto al cuore e gli occhi diretti al Paradiso!

Questi sentimenti che io nudriva nel Noviziato non furono punto soffocati dal fervore delle lettere, che anzi per la mia cura in educarli crescevano sì che io per meglio rassodarmi nel santo proposito, ne volli fare particolare voto, col consiglio del PadreSpirituale, e con licenza del Reverendo Padre Provinciale che mi promise darebbe effetto a' miei desiderî nel Signore. Io sin d'allora desiderava scriverne a Vostra Paternità Reverendissima ma il Padre Spirituale stimò opportuno, per farmi confermare nella mia vocazione, di privarmi di tal consolazione e differirmela quando avrei studiato Filosofia.

Volle però l'ingiuria de' tempi che invece di passare alla filosofia fossi, nella comune sventura, confinato nuovamente in questo secolo il cui alito pestilenziale atossica anco i più immacolati, e quel che è più dopo tanti sforzi che ho fatto di schermirmene e ritrovare la Compagnia dove che sia, non sono stato degno ancora di ricevere dal Signore la grazia di abbandonare per sempre la Patria, e dimenticarmi affatto della vita passata per cominciarne una nuova tutta pel servizio di Dio. Io temo Padre mio, che per l'indole mia focosa, non vada sempre deteriorando, e immedesimandomi col secolo, sì che a poco a poco rattiepidendomi ne' piî desiderî io possa perdere quella grazia principale cui è annessa forse la mia santificazione.

Or chi mi darà che abbiano il desiderato esito i miei desiderî? io lo chieggo continuamente al Signore cui solo appartiene la Missione degli Apostoli, ne scongiuro la Vergine Santissima che è la madre delle grazie, e il mio caro San Francesco Saverio che è il protettore della Propagazion della fede; ma che giova se non mi diriggo pure a Vostra Paternità Reverendissima cui deve ispirarlo il Signore, siccome organo de' divini voleri? Però caldamente la supplico, che se le è a cuore la salvezza di una debole anima che sembra soccomba alla dura pruova, e la santificazione di tanti uomini incolti che aspettano la luce del Vangelo, mi faccia subito uscir dalla Sicilia, e poi mi metto nelle sue paterne mani per mandarmi ove creda più opportuno per cominciare il mio tirocinio dell'apostolato, e seguire gli studî incominciati e interrotti per i politici sconvolgimenti.

Che se Vostra Paternità Reverendissima vorrà consolare uno de' suoi figli in Gesù Cristo mi accenni qual'è la sua volontà che io son pronto a compierla in tutta la sua estenzione. Io non posso far altro che procurarmi il denaro pel viaggio, giacchè averlo da' parenti è impossibile, posto che lungi dal cooperarsi per perdermi per sempre cercano più tosto impedirmi che io vada in traccia alla mia vocazione. Intesi dal Reverendo Padre Turner che in Malta vi sono tre convittori i quali sono stati già accettati nella Compagnia dal Reverendo Padre Provinciale di Lione: io per la brama che hò di tornare di nuovo in grembo alla mia Madre la Compagnia, mi animai a chiedere che fossi accettato come un quarto, e ricominciare con loro il Noviziato e la carriera gesuitica, sicuro che non mi sarebbe stata negata tal grazia come già approvato dalla Compagnia; se Vostra Paternità Reverenda approva quel che ho fatto si benigni farne consapevole il suddetto Padre Provinciale che si uniformerà a' suoi voleri. Finisco che sono stato troppo importuno; m'avuta la sorte di sfogare come un figlio a un suo Padre Vostra Paternità Reverendissima mi avrà per iscusato se in qualche cosa trascorsi, ora però torno a riumiliarmi alla sua presenza per ricevere la paterna benedizione, sono ne' Santissimi Cuori di Gesù e di Maria

Il suo infimo figlio

Chiarissimo Beniamino Maria Aureo.

Della Compagnia di Gesù.

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Sicilia. 1849 - Fratello Benjamino Aureo. // Desiderio delle missioni e di essere chiamato dove sta la Compagnia

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Citation

“Aureo, Beniamino Maria (1829-1854), Sicilian Province, 1849,” ARSI, AIT 1, 840, Digital Indipetae Database, accessed September 19, 2024, https://indipetae.bc.edu/items/show/1996. Transcribed by EF.