Cicaterri, Felice (1804-1873), Rome, May 28, 1845

Grade S.J.

Year

Month

May

Day

28

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Anterior Desire

Destination(s)

Models/Saints/Missionaries

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Left for mission lands

Yes

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662

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Transcription

~Provincia Romana. Roma, 28 Maggio 1845.

Padre Felice Cicaterri~

Molto Reverendo in Cristo Padre

Non si maravigli Vostra Paternità se le vengo dinanzi con questa scritta piuttostoché in persona. Non è difetto di confidenza che così mi consiglia, ma il pensiero che più liberamente le potrò esporre quel che si passa nel mio animo, e lasciarle sott'occhio le ragioni che attendono la maturità del suo giudizio. Sarò breve per non abusare il suo tempo, e la sua bontà. Quando piacque al Signore per sua infinita misericordia chiamarmi alla Compagnia (io non la conosceva, né sapeva punto delle sue leggi e delle sue consuetudini), non aveva altra brama che delle missioni, e vidi in essa solo il mezzo di poter soddisfare al desiderio, che Dio mi dava. Se mi avessero ricusato (e ben lo temeva) mi sarei volto a [Sacrifici] della Missione solamente perché il titolo [m'invaghiva] come tutto [comprende] a' miei voti. Avezzo ad una verga di ferro sotto una dura educazione, e bramoso di servire a Dio nella Compagnia mi adattai facilmente a quanto a quanti da me si volle, e presi a far la scuola prima ancora di finire il noviziato. Ma le confesso che ho dovuto più volte ringraziare il Signore che non m'abbia fatto prima conoscere questo ministero che doveva occuparmi quindici anni lontano da ciò che io maggiormente bramava; chè io per [fermo] non mi sarei determinato giammai a chieder questo grandissimo benefizio della Compagnia, dalla quale dopo Dio tutto riconosco, e per la quale sento ogni dì meglio crescermi la stima, l'affetto e il desiderio di consecrarle le mie fatiche, e la mia vita. Fra le brighe della scuola però non mai [tacque] in me il desiderio delle missioni, ed attendeva il tempo del sacerdozio sperando dal Signore tanta grazia per mezzo de' miei Superiori. Nel decembre del 32 primo anno de' miei studi teologici, presentai a Vostra Paternità una supplica, per essere tra gli eletti alle missioni straniere, e n'ebbi solo buone promesse, che Dio non volle per me effettuate. Mi confortava intanto che nel terzo anno di probazione avrei potuto iniziarmi nel santo ministero delle missioni italiane, per le quali mi sentiva desiderio oltremodo grandissimo, e qualche speranza che ci sarei destinato. Ma quell'anno per me non venne, e tutto svani. L'obbedienza mi ricacciò nelle scuole; ed io vedendo, che aveva demeritato la grazia bramata, e che Dio mi voleva all'uffizio dell'insegnare, mi gittai a tutt'uomo nelle lettere per corrispondere almeno da questo lato quel meglio che avessi potuto alle premure della Compagnia, nè saprei con qual mio ed altrui vantaggio. Tuttavia non ho mai lasciato di manifestare a' Superiori il mio primo desiderio, che non era spento, quantunque non abbia fatto in alcun tempo istanza per essere rimosso dalla scuola per noia ch'io ne avessi. Ché questa stoltezza di scegliere e ricusar ministerî a mio talento non mi è mai entrata nell'animo, perchè contraria al mio naturale, alla educazione avuta da fanciullo, e (debbo confessarlo) all'amor proprio che cercava dall'ubbidienza il suffragio alla vanità di un felice riferimento. Da ultimo, come a Dio piacque fui destinato alla predicazione. Abbracciai questo ministero da prima con trepidazione perchè messovi alla sprovvista, e innanzi un pubblico che già mi conosceva (e ciò era superbia); appresso con entusiasmo, specialmente quando cominciai a parlar da palco; perchè parevami esser già in parte esaudito ne' miei voti, e vedevami consolato di alcun successo. Ma il pulpito, l'idea di eloquenza, l'abitudine de' miei studi, ed altro che io tralascio forse mi hanno tratto in errore, hanno palpato il mio orgoglio; ma, lo protesto, non mi hanno giammai tolto di veduta il fine. Dio mi ha voluto a Roma per premermi sotto il torchio delle umiliazionia; e ne aveva bisogno. Ne sia benedetto che si piacque ammaestrarmi a questa scuola, e voglia pur che con frutto. Mentirei, se dicessi di non sentirne tutta l'amarezza. La quale nasce specialmente dal vedermi inetto a cooperare al buon nome della Compagna, alla quale vorrei pure rendere miglior servigio; dal disgusto che debbono risentirne i miei Superiori, che veggon tradite le loro speranze dopo la molta carità che mi hanno sempre usata; dal timore di rimorsi che potrebbero [funestarmi] le agonie per aver male amministrato la divina parola. In cotal mezzo io ne ho pure questo vantaggio, che sento ogni giorno meglio crescermi il desiderio antico di dami alle missioni. Non parlo delle straniere; chè l'età mia è forse troppo avanzata per apprendere con facilità, e trattare speditamente un nuovo linguaggio. Quando ciò non mi facesse ostacolo, le rammenterei colle più calde istanze l'antica promessa. Ma questa è tal grazia che io non oso sperare. Quello che ora con tutta la effusione del mio cuore, e con ogni modo di preghiera dimando alla Paternità Vostra è il santo ministero delle missioni italiane. E a supplicarla di un tal favore ho sentito di questi giorni specialmente qualche maggiore stimolo, sì che mi son fatto animo a porgere supplica prima che si compia la novena del Sacro Cuore di Gesù. Sento bene che a tal offizio in me non si trova tutta la necessaria attitudine. Ma Dio che me lo ispira non mi darà grazia di riuscirvi in qualche modo? E poi io non chieggo altro, che di esser dato compagno a qualche missionario veterano, come per esempio al Padre Melia, il quale mi eserciti nelle parti secondarie, mi dirigga, mi corregga, e si aiuti di me al sollevarsi il soverchio delle fatiche. La necessità di un'parlar più libero e disinvolto, in un ministero dove sparisce ogni esigenza di coltura, a' popoli che dal missionario attendono la semplice parola del vangelo, che illumina, e scuote, mi [divezzerà], ne son certo, dalla trista abitudine contratta ne' mie studî, e che in me si biasima e si riprende. La Compagnia ne avrebbe forse men reo servigio, ed io me ne troverei più quieto nelle coscenza. Le ho esposto di questo mio desiderio la storia, e le ragioni, ho fatto dal canto mio quel che doveva per ridurlo ad effetto, nè sarò colpevole dinanzi a Dio di non averlo manifestato. Ora lascio alla Paternità Vostra che disponga di me come meglio crederà nel Signore, assicurandola con tutta sincerità, e le farò ogni sforzo per ubbidirla, in quello che vorrà comandarmi, voglia o no compiacermi nella mia richiesta. Sono in unione de' Suoi Santissimi Sacrifici.

Di Vostra Paternità Molto Reverenda

Infimo in Cristo Servo

Felice Cicaterri della Compagnia di Gesù

Dalla casa professa romana 28. Maggio 1845.

(a) delle umiliazioni nell'interrigo

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Casa Professa 28. maggio 1845 - Padre Cicaterri // 1. Espone la storia e le ragioni della vocazione antica che sente per le Missioni // 2. Chiede di esser dato per aiuto di qualche veterano nelle missioni italiane.

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Citation

“Cicaterri, Felice (1804-1873), Rome, May 28, 1845,” ARSI, AIT 1, 662, Digital Indipetae Database, accessed September 19, 2024, https://indipetae.bc.edu/items/show/1825. Transcribed by MB and EF.