Turner, Guglielmo (1807-1852), Palermo, July 31, 1840
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~Provincia Sicula – Palermo, 31 Luglio 1840.
Padre Guglielmo Turner
petit missiones~
~[NB. Fuori in soli -]~
Molto Reverendo in Cristo Padre nostro
Pax Christi
Ho manifestato più volte a Vostra Paternità il desiderio che sin dal Noviziato ho avuto d’impiegarmi alla gloria di Dio nelle straniere missioni, e sebbene gli studj e le altre esteriori occupazioni ch ne abbiano alcun poco diminuito la vivacità, pure non ha cessato di risvegliarsi nel mio cuore ad ogni occasione di maggior divozione, e raccoglimento.
In questi ultimi tempi, all’occasione soprattutto della lettera enciclica inviata da Vostra Paternità a tutte le nostre le case, mi sono sentito interiormente stimolato a reiterar la mia domanda, e dopo aver maturata la cosa per più di due mesi e consigliatomi col Padre Spirituale, ho risoluto di scriver la presente sotto la protezione del mio carissimo Santo Padre Ignazio, a cui è consacrato questo giorno, affinchè egli dirigga la mia penna, e assista Vostra Paternità affinchè decida di me ciò che crede a maggior gloria di Dio. Le esporrò dunque con tutta la sincerità che dee un figlio al Padre, le ragioni che mi muovono, e ciò che mi si potrebbe opporre.
- Se io avessi a morire nello stato in cui mi trovo, non sarei tranquillo. La mia vita è assai lontana da quella di un Gesuita. Destinato a propagar la divina gloria, io logoro gli anni e la vita in che? nell’insegnare la più inutile di tutte le scienze, che è la Matematica, a tre o quattro che vengono alle nostre scuole. Il fratel cuoco almeno coopera efficacemente a sostentar la vita di tanti propagatori della Divina Gloria, ed io in che concorro a questo gran fine? L’ubbidienza sola potrebbe consolarmi. Ma questa sola e vera consolazione nemmeno posso averla: poichè tale è il trasporto che ho per questi studj, che più dell’obbedienza vi ha parte il genio nel coltivarli, e quindi ne perdo tutto il merito. Bisognerebbe un grande spirito di raccoglimento, di mortificazione interna, di unione con Dio, perchè vincendo l’inclinazione naturale potessi aver sempre retta l’intenzione. Ma questi studj assorbiscono [in] modo la mia mente, che mi rende quasi inetto a tutt’altro. Le dirò con mia confusione. Più volte mi è accaduto di risolver problemi stando a fare orazione, e questa mattina appunto mentre meditava, mi si affacciò un problema di cui altre volte avea tentato indarno di trovar la soluzione, e nell’orazione mi si presentò bella e fatta. Dopo ciò come frenar più la mente? anche in tempo di Messa si riproducea nella fantasia, e dopo la consecrazione nemmeno mi ricordava se avea consecrato. Privo così d’orazione, qual dev’essere la mia vita? Sono una larva di Gesuita, senza averne la realità.
- Io naturalmente son troppo delicato, e insofferente dei travagli. La missione allontanandomi da una parte da questi studj, che mi fanno perdere il gusto delle Apostoliche fatiche, mi metterebbe nella necessità di travagliar per Gesù Cristo: mi metterebbe nella via della croce, e assicurerei così un poco più la mia salute, cooperando a quella degli altri.
- Il gran bisogno che c’è di missionarj di cui così scarso è il numero, mentre è così abbondante la messe. E’ vero che io non valgo a nulla: ma il Signore si serve del nulla per fare gran cose: e se non valgo a nobili imprese, anche certi uffizj più bassi son necessarj nelle missioni, come catechizzare, servir nelle residenze in quelle cose che contribuiscono al loro mantenimento, ed altre cose tali.
- Finalmente, ed è il più forte motivo, io ho gran desiderio di adempire ciò che Dio si propose di far di me nell’a=
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vermi chiamato in una maniera, posso dire, straordinaria e quasi prodigiosa alla Compagnia, dalla quale prima io rifuggiva, non solo da Secolare, quando vi era avverso, ma anche quando trattava di farmi religioso, credendola non confacente alle mie forze. Io non so quali sieno questi disegni: certo debbono essere di grande sua gloria. Può ben essere che siano le Missioni, e quindi non lascerò di chiederle, finchè io non mi assicuri non esser questa la volontà di Dio.
Le opposizioni che mi si possono fare, si riducono alle tre seguenti. I. La debolezza della mia complessione. A ciò posso dare qualche buona risposta. 1.a Questa mia complessione pareva anche incompatibile colla vita della Compagnia, e quei del secolo mi presagivano una morte vicina, eppure io sostenni benissimo il peso del Noviziato, ed ho seguitato piuttosto migliorando che deteriorando in salute. 2.a Gli strapazzi di una vita Apostolica mi hanno fatto piuttosto bene che male. A noviziato feci il mio pellegrinaggio a piedi, e facendo ogni dì delle prediche, e tornato recai meraviglia col miglioramento della mia salute. Nel tempo del cholera, benchè poco avessi fatto agli occhi di Dio, e questo poco molto male, agli occhi però degli uomini pareva un prodigio come potessi reggere a quei travagli: eppure non ebbi nemmeno un leggerissimo tocco del male, nè d’altro incommodo. 3.a I miei incommodi abituali sono provenienti dallo studio: e quindi son sicuro che le missioni togliendomi all’applicazione così intensa come quella delle matematiche mi farebbero più bene che male. 4.a Sebbene le missioni potessero abbreviarmi la vita, certo lo studio me l’abbrevierà dippiù. Dunque non potendo la mia vita esser lunga o per l’una o per l’altra ragione, amerei meglio perderla lavorando per Dio, che lavorando per secondare il mio genio. 5.a Del resto spetta al Padre di Famiglia assegnar ai suoi Figli i pesi secondo le proprie forze. Non tutte le missioni richieggono uguale travaglio: potrebbe Vostra Paternità sceglierne per me qualcuna di quelle già stabilite, in cui gli operaj non siano in così poco numero che tutti i travagli debbano portarsi da uno, o due. Dico questo per rispondere alla difficoltà, giacchè io sarei pronto ad andare dovunque Vostra Paternità volesse destinarmi.
- La 2.a difficoltà è la scarsezza di soggetti in questa provincia, che potessero dar studio di Matematica. Questo per disgrazia è vero, e meriterebbe riparo, ciò che potrebbe farsi permettendo a qualcuno dei nostri Filosofi che mostra attitudine a questi studj, che potessero per qualche altro annoa innoltrarsi in essi, come vuole il Ratio studiorum: e di questi non ne mancano: taluno anche ne fece la domanda, e non l’ottenne: ma è impossibile che dopo avere appena studiato i semplici elementi di Geometria ed Algebra, e distratti poi dal Magistero possano non dico conservare amore a questi studj, ma financo ricordarsi più di quello che hanno studiato. Bisogna che approfondiscano questi studj, assaggiando qualche cosa della parte loro più sublime. Allora la scienza si presenta loro in tutt’altro aspetto; ne vedono il bello, e così da una parte ne acquistano un maggior possesso, nè potranno facilmente dimenticarla, dall’altra ne acquistano il gusto per cui non lasciano poi di coltivarla da se. Ma per rispondere alla difficoltà, non manca anche adesso chi potesse sostenere assai meglio di me le catedre di Fisico-Matematica e di Geometria: tale sarebbe un Padre Fontana, un Padre Gonzalez, se è vero che debba tornare da cotesta, un Padre Pirrone, il quale sebbene fuori di esercizio facilmente richiamerebbe gli studj fatti costì sotto il Padre Caraffa, dove ho inteso che fece molto profitto.
III. La vera difficoltà è la mia estrema debolezza nelle forze spirituali. Confrontando ciò che sono con quel che fui nei primi tempi della mia vita Religiosa, ne gemo di dolore e di confusione. Ma oltre che la mia fiducia è riposta in Dio, per questo stesso io mi sono indotto a chieder le missioni. Queste mi obbligheranno a far dei sacrifizj che potranno attirare sopra di me le divine misericordie: queste mi faranno in qualche maniera redimere un tempo che ho sprecato senza far nulla di bene: queste mib toglieranno all’occa=
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sione che più ha contribuito al mio dissipamento, cioè lo studio delle Matematiche, e Le assicuro che provo una special consolazione nel pensare che con ciò farei a Dio il sacrifizio di ciò che ho di più caro in questo mondo, che è il genio per questa scienza.
Le ho esposto, Padre mio, con tutta sincerità gl’interni miei sentimenti: Vostra Reverenza disponga di me come giudica nel Signore, e spero di esser sempre pronto a seguir la sua voce come quella dello stesso Dio, che per mezzo di Vostra Reverenza mi manifesta la sua Santissima volontà. Una cosa sola desidererei ardentemente, cioè che, se Vostra Paternità accoglierà la mia dimanda, vorrei rifarmi un poco delle forze spirituali col terzo anno di probazione. Altronde desidererei di farlo più presto che fosse possibile indipendentemente dall’oggetto delle missioni. Ne feci la domanda al Padre Provinciale pregandolo che mi concedac di farlo il prossimo anno nel noviziato stesso abitando coi novizj: mi rispose che appresso ne parleremo, ma ho poca speranza di ottenerlo. Per altro mi contenterei differirlo quando che sia, e insiem con esso differire quel grado a cui potrò esser chiamato, purchè faccia davvero il terzo anno di probazione come vuole l’istituto, e non quì in Collegio facendo scuola.
Con questa occasione, permetta, mio molto Reverendo Padre, che io ricorra al suo zelo e alla sua autorità per un affare di molta importanza. Quest’anno, come Superiore dei nostri Filosofi, ho avuto sotto la mia giurisdizione una parte della classe degli Accademici dell’anno scorso, ed ho conosciuto quanto fu sapientissimo il provvedimento preso di separare in quest’anno i novelli Accademici da quelli che rimasero della precedente classe. Ma riuscirebbe questo inutilissimo, se poi alla fine del seguente anno dovessero riunirsi di nuovo queste due classi nella filosofiad. Se questa separazione fatta nell’Accademia serve a fare rifiorire quella classe già divenuta guasta nelle massime e nella condotta religiosa, e così cominciare direi così una novella generazione, non è ciò men necessario a farsi nella classe dei Filosofi, dove con acerbo dolore del mio cuore son testimonio di un dicadimento, che in sei anni che occupo questo incarico di lor Superiore non ho mai veduto. Vi è in taluni un certo spirito d’insubordinazione, e di insincerità coi Superiori, una mancanza quasi totale di spirito Religioso, che mi pajono non Scolastici gesuiti, ma Seminaristi, che contro lor voglia e ricalcitrando sopportano il giogo. Non entro in maggiori dettagli, perchè certamente Vostra Reverenzae ne sarà stato informato. Non so se il Padre Rettore inclini a fare sul finire del seguente anno una tale separazione, giacchè mi pare che compatisca un po troppo i mancamenti dei nostri giovani: sò certo però che il Padre Provinciale non farà se non quello che vorrà il Padre Rettore. Ed è per questo che io prego Vostra Paternità ad interporre a tal fine la sua autorità. Molto più che questa separazione può farsi in questa classe senza strepito alcuno quando sif cominci a preparare sin da quest’anno. Le sottopongo quindi un progetto che mi pare molto plausibile. L’anno seguente scenderanno a fare scuola i quattro fisici, che terminano la filosofia (dico quattro, perchè l’altro essendo notabilmente incommodato non so se sarà impiegato a fare scuole). Insieme con questi quattro potrebbero aggiungersi tre dei metafisici, e dovrebbero essere i Fratelli [Guarrasi], Cordova, Tomasi, che sono quelli che più degli altri farebbero lega con quelli che dal Carissimato passeranno in Collegio il seguente anno. Così restando più pochi, e senza i più torbidi, i disordini saranno minori. La classe ridotta a sei, de’ quali due fisici, e quattro metafisici, è facile dopog l’anno venturo farli passare tutti al Magistero, e i nuovi metafisici che verranno saranno soli, e si potrà dare un buono inviamento alla classe dei Filosofi. Intanto non mancherà la classe degli studenti di Fisica, poichè vi sono tre degli attuali Maestri che ancora non l’hanno studiato e sono i Maestri Brugnone, [Tarlato], e Castrogiovanni 2.° i quali, come suol farsi, potranno abitare insieme coi Teologi. Se Vostra Reverenza
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approva questo progetto, bisogna che adoperi la sua autorità per farlo eseguire dal Padre Provinciale incominciando dalla prossima assegnazione da farsi ai 4. Ottobre. Che se il Padre Provinciale non potesse degli attuali metafisici farne passare più di due a Maestri, siano a ogni conto questi due i Fratelli [Guarrasi] e Cordova, giacchè questi son quelli che più mi han dato dispiacere, sebbene il secondo sia molto finto, e l’anno scorso seppe ingannare con una certa ipocrisia tutti i Superiori.
La prego di perdonare la libertà con cui ho parlato. Sa Iddio quanto amo la Compagnia, e quanto mi duole vedere trai suoi figli ancor quasi allattanti chi la maltratti, e ne tradisca le speranze. Non ho voluto mancare a ciò che mi suggeriva la coscienza, e questo stesso che le ho scritto l’ho consultato prima col Padre Spirituale per procedere più sicuro.
Mi raccomandi a’ Cuori Santissimi di Gesù, e di Maria, affinchè mi rinnovino veramente in questa occasione così segnalata dell’Anno Secolare. I miei bisogni sono estremi, ed ho bisogno di potenti ajuti. Mi dia la sua paterna benedizione, e mi creda
Di Vostra Paternità Molto Reverenda
Padre Giovanni Roothaan Preposito Generale
della Compagnia di Gesù in
Roma
Il più indegno trai suoi figli
Guglielmo Turner della Compagnia di Gesù
Palermo li 31 Luglio 1840.