Incardona, Salvatore , Palermo, August 20, 1829
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Molto Reverendo in Cristo Padre Nostro.
Palermo 20. Agosto 1829.
Padre Salvatore Incardona
Pax Christi
Animato dalla carità della Paternità Vostra, e fatto franco dalle assicurazioni del buono fratello Cinardi, per cui mezzo le feci arrivare la prima volta la mia proposizione, comincio la mia lettera dal chiederle mille perdonanze per essermi valuto di tale via, che sembra poco opportuna, e regolare; ma quanto sono per esporre, se non può rendermi scusato, vale a manifestare almeno il perché mi sia ridotto a così operare.
Ammesso nella Compagnia l'anno 1811. Trovai, che si leggeva nel refettorio la storia nostra d'Inghilterra del Padre Daniello Bartoli, quindi quella dell'Asia dello stesso scrittore, e certe lettere edificanti, e curiose delle Missioni del Paraguai d'un medico francese Carlo jacopo Ponget. Quelle prime idee delle fatiche dei nostri mi si scolpirono così altamente nell'animo, che sin d'allora cominciai ad amare, ed a desiderare una tale maniera di vivere. Crebbero sempre più im me questi miei desiderj nello studio della Rettorica per opera del Padre Vincenzo Cavazza mio maestro uomo di molto entusiasmo, e del Padre Ignazio Alcorizza spagnuolo rettore, che all'espulsione della Compagnia erasi incaminato, e trovavasi già al Perù. Mi persuadeva io stesso che quelli erano scintille d'un fervor giovanile, che provenivano da una calda imaginazione; quindi non le manifestai, che alla maniera de' giovani vogliosi di ciò, che ha l'aspetto di grande, e come tali non furono ne disprezzati, ne ammessi da' superiori, ma nutriti con dolci parole.
Avvenne a quel tempo la spedizione del Padre Giovanni Franco nostro siciliano all'isole dell'arcipelago, ed al licenziarsi da noi quel buon padre mi venne tal desiderio di seguirlo, che non potrei esprimerlo colle parole: persuaso però io che con sì poca età, e con sì scarsi studj nulla avrei potuto ottener domandando, mi tacqui; ma sin d'allora fermai dentro me stesso di andare a quelle parti, tosto che Dio avesse mandato tempo a' miei desiderj. Nello studio della filosofia non potei tenermi dal manifestare la mia intenzione al fu Padre Emmanuele de Zuñiga spagnuolo Provinciale, il quale con soavi parole, e volto ridente mi esortò a durare in simile risoluzione a migliore tempo; che quello era il tempo di far provvista di spirito, e di lettere. L'anno appresso 1817. tornai collo stesso pensiero al fu Padre Sebastiano Soldevilla Vicario Provinciale spagnuolo anch'egli, ed il buon vecchio: Sì sì figlio mi disse, non che alla Grecia ma vi porterei prima io alla Spagna (ed era egli sulle mosse per quel regno) ma il Reverendo Padre Nostro Generale ci ha proibito di portar con noi dei giovani di Sicilia come abbiamo chiesto, per ora è il tempo di tacere, proseguire a studiare, il tempo maturerà ogni cosa.
Cominciò in questa disgraziata provincia a spargersi dal 1818 in poi, o a quel torno un universale malcontento, per cui molti cominciarono, e proseguirono sempre più negli anni vegnenti ad abbandonare la Compagnia. Il mio desiderio non s'illanguidiva, anzi confesso, che dalla presenza di tanti mali sempre più veniva crescendo; ma non osai dire in tali circostanze uno zitto, dubitando, che una simile domanda poteva sembrare effetto di malcontento, o smania di mutare provincia, o luogo per sottrarmi, come altri desideravano, e chiedevano, alle lagrimose vicende di quei giorni, ed alle più funeste che prevedevamo. Ma tacqui del tutto, e l'anno 1823 coll'occasione dell'avviso della morte del Padre Venturi missionario, e se non erro anche prefetto delle missioni nell'Arcipelago nel mese di Maggio avanzai per lettera la mia domanda al Reverendo Padre Salvadore Costa Provinciale, che trovavasi per la visita in Marsala. Scrissi a quello, e non direttamente al Nostro Reverendo Padre Generale perché la credei la prima via regolare, onde questi ne avvisasse il Nostro Padre, e perché mi diedi a pensare, che da Roma doveva sempre trattarsi l'affare con questo Reverendo Padre Provinciale. Ecco la risposta, che n'ebbi qui fedelmente trascritta: «Reverendo in Cristo Padre: Pax Christi fatta orazione, e riflessione a quanto Vostra Reverenza mi scrive, rispondo in Domino come l'ho inteso, e la sento nell'animo mio senza la menoma prevenzione, se non m'inganno: Una voce franca, e senza la menoma esitazione sin dal ricapito della sua mi ha detto, e mi dice non di Tine, ma della Sicilia ella deve esser l'apostolo. Non è però questa una profezia, anzi i miei gravissimi peccati, e demeriti mi fanno desperare, che il Signore a me indegnissimo si comunichi. Soggiungo poi, che un altro anno, e più a terminare gli studj sarà un tempo sufficiente a potere colla preghiera, e coll'esercizio della Santa umiltà, e uniformità perfetta al divino volere, sarà dico sufficiente a potere ottenere dal Padre de' lumi dal motor d'ogni cosa un'intelligenza maggiore, e più ferma alla risoluzione di cui si tratta. Saprà egli in tal tempo presentare delle circostanze propizie, o contrarie per ispiegarsi da noi mortali, o per meglio dire interpretarsi il di lui volere. Faccia con santa indifferenza fervorosa orazione, e si ricordi di me ne' Suoi Santissimi Sacrifici. Marsala 18 Maggio 1823. Umilissimo in Cristo Servo Salvatore Costa».
Terminati gli studj nel 1824 nulla feci più menzione della mia domanda, perché in questa nostra provincia correva, e corre voce tuttavia, che la volontà di Roma era portata da due soli di questa provincia, cui si diceva si rimettessero le lettere o in originale, o in transunto coi nomi di chi scriveva; ond'io ne credendo, ne discredendo tali cose non esposi mia una sillaba. Non lasciai ciò non ostante di tentare con uno di loro creduto il promo agente di poter esporre i fatti miei; ma vedendomi trasportato sempre con parole, che nulla conchiudevano capii, che la mia lettera non poteva essere efficace, e che anzi poteva tormi una volta per sempre la speranza. Aspettai un'occasione propizia la quale mi parve quella della venuta a Roma dei Padri Elettori di Sicilia, e pregai il buon fratello Cinardi, cui altre volte avea communicato il mio pensiero, della grazia, di esporre per me al futuro Padre Generale i miei desiderj.
Questa è la manifestazione sincera di tutto me stesso, ch'io fo al mio Padre colla speranza, che siccome non è mancata giammai questa voce nel mio interno; così finalmente abbia dalla carità della Paternità vostra a restare appagata.
Io ho avuto le mire rivolte sempre alla Grecia per passare, se quindi mi riusciva, a Costantinopoli, a Damasco, ad Aleppo, nella Siria, nella Mesopotamia, nel Monte Libano dove i nostri avevano nei tempi antichi delle missioni. Da 17 anni a questa parte non ho lasciato trascorrer giorno senza pregare il Signore a concedermi una tale grazia, e per l'oggetto medesimo nel giro di sette anni da che sono sacerdote ho cercato di avvezzarmi alla meglio alle fatiche. In tale tempo quel che ho potuto fare dal canto mio è stato di non ricuperare fatica di sorta alcuna, o confacente, o dispiacevole alla mia inclinazione, ond'è che non ho scrupolo di avere giammai detto no, o ai superiori che mi hanno comandato, o alle persone, che mi hanno richiesto dell'opera de' nostri ministeri: come ancora devo confessare di non essermi giammai messo da me stesso in opera che si sia. Con questo sono a tale venuto, che alquanto smilzo di corpo reggo alle continuate fatiche forse più che qualunque altro robusto.
Certamente verrà fuori la difficoltà del poco numero dei soggetti di questa provincia, se la Paternità vostra mi permette, io ho le risposte alla mano. La mia mancanza certo nulla può esser sentita dalla provincia, perché in generale un giumento da soma di più, o uno di meno non porta mai grande guasto. In secondo luogo se fossi morto, come già ne fui in pericolo prossimo il giorno 24 al 25 di Aprile dell'anno scorso guarito per ispeciale grazia del Beato Alfonso Rodriguez, non ci sarebbe altro di me per la provincia. E se per mia disgrazia mi fossi lasciato persuadere dai molti inviti avuti, o tirare dalle replicate vistose promesse in diversi tempi fattemi da più persone per abbandonare la Compagnia, che n'avrebbe ora di me la provincia? fingiamo uno de' due casi, e la cosa sarà bella, e fatta
Molto Reverendo Padre mio accolga una volta questa mia domanda per rendermi l'uomo più consolato del mondo. Io sino al tempo che si compiacerà la Paternità vostra di dichiararmi la volontà sua raddoppierò le preghiere per impetrare da Dio una grazia così grande, della quale conosco non essere ne punto ne poco meritevole; ma che con tutto ciò ardisco sperare dalla misericordia del comune Signore anche per portare qualche compenso alla divina gloria, cui sono molto debitore pei miei gravi peccati. Ho scritto minutamente tutto, e perciò sono stato lungo, Ella saprà perdonarmi. Prego la Paternità Vostra di avere presente ne' suoi santi sacrifizj la mia persona, mentre io sono con piena verità
della Paternità Vostra molto Reverenda
Il Padre Giovanni Roothaan
Preposito Generale della Compagnia di Gesù
Roma.
Umilissimo, e devotissimo figlio in Gesù Cristo
Salvadore Incardona della Compagnia di Gesù
Palermo 20 Agosto 1829.
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Luigi Bonelli, 6 augusti Missioni 1829